Il terzo laboratorio : pazienza e lentezza
di Nicola Rabbi/ Pazienza, questa è stata la parola chiave, il titolo, che si sarebbe potuto dare a questo incontro di valutazione delle tecnologie adatte per diminuire le barriere comunicative che incontrano le persone con deficit all’udito. Barriere difficili da superare quando si deve comunicare a distanza usando le piattaforme digitali.
All’incontro on line eravamo presenti in 9 persone, i conduttori del progetto (oltre al sottoscritto anche Martina Gerosa, Isabella Ippoliti e Andrea Mangiatordi) e 5 persone con deficit dell’udito (Giacomo Albertini, Lorenzo Baldinelli, Chiara Foschi, Francesco Giampà, Anton Mordvyn) e che hanno una buona dimestichezza con le tecnologie, i nostri utenti esperti insomma.
Ve ne saranno altri 3 di incontri ma fin da subito possiamo riportare alcune informazioni e impressioni.
Intanto qui la norma, che vale anche altrove, di parlare uno alla volta e mai assieme, è doverosa. Le persone del nostro gruppo con disabilità uditive usavano anche il cellulare perché si è visto che tenere separato il canale dove comunicare per iscritto da quello in cui si parla, aiuta nella comprensione. Poi tra di noi c’era anche Anton di origine russa che usava la lingua dei segni (Lis); quindi uno dei partecipanti ha dato un sostegno traducendo in Lis.
Zoom si è prestato bene nel regolare le dimensioni delle nostre immagini sullo schermo. E’ una cosa importante dato che un volto ben visibile significa, per una persona con problemi all’udito, anche poter leggere le labbra e, nel caso della lingua dei segni, questo fattore aumenta ancora di importanza. Parlare con ordine, uno alla volta, è essenziale per permettere a tutti di esprimersi e capire usando dispositivi multipli (computer e cellulare) e le diverse interfacce come la trascrizione, una lavagna condivisa e la chat di Zoom.
Andrea Mangiatordi, che ha condotto il laboratorio, ha proposto ai partecipanti un gioco di ruolo con un compito preciso: ogni persona apparteneva alla stessa azienda e doveva pianificare una riunione da svolgersi on line e in cui si dovevano fare delle presentazioni e condividere dei documenti.
In questo esercizio piuttosto faticoso le persone svantaggiate non solo sottolineavano le difficoltà presenti nelle tecnologie ma proponevano anche le soluzioni che avevano trovato per sé, diventando così parte attiva e non assistita.
Tutti noi ci siamo resi conto subito dei limiti dei programmi che, utilizzando l’intelligenza artificiale, trascrivono direttamente il parlato. Se questi programmi funzionano abbastanza bene con chi non ha problemi nel linguaggio, per le persone con deficit uditivo si sono dimostrati poco utilizzabili se non come testi di letteratura dadaista o di genere comico.
Una buona domanda da porsi potrebbe essere: sarebbe possibile addestrare questi programmi per il parlato caratteristico di una persona? Personalizzare questi programmi di trascrizione potrebbe essere una buona soluzione.
Nel nostro caso, in modo molto pragmatico ma utile, Andrea alla fine di ogni intervento riassumeva quanto la persona aveva detto e il suo parlato regolare veniva tradotto bene dal programma di trascrizione. Inoltre Andrea utilizzava AVA (il sistema di trascrizione usato in via sperimentale durante incontro) per scrivere come se fosse una lavagna i principali concetti che venivano espressi.
Abbiamo sforato abbondantemente le due ore previste e questo è stato per tutti noi uno sforzo notevole, ecco allora la proposta di fare delle pause in questo genere di incontri per permettere un maggiore benessere psicofisico dei partecipanti.
Lorenzo ha anche detto:”Noi abbiamo tempi lunghi, bisogna avere pazienza con gli udenti, bisogna sensibilizzarli”. E’ un ribaltamento di prospettive e in effetti è giusto; una persona che non ha problemi all’udito non si rende conto delle difficoltà che si incontrano nella comunicazione in presenza come anche on line e dei tempi necessari, anzi della lentezza che occorre per comunicare. Qui la fretta non ci può proprio stare.
Martina ha proposto un diverso gioco di ruolo, rendere non udenti le persone che ci sentono bene e farli comunicare in questo modo: è una versione tecnologica delle cene al buio proposte dalle persone con deficit visivo.
Infatti questo non è solo un discorso di tecnologie appropriate. Dice Giacomo: “ Occorre una maggiore sensibilità delle persone verso di noi oltre a quello che può offrire la tecnologia”.
Anche questo è un discorso che ritorna sempre quando si parla di inclusione, un discorso tra esseri umani, di come si comprendono, si accettano e, di conseguenza, di come si mettono in rapporto tra di loro.
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